Darío Tamayo, nato a Granada, si è formato tra Barcellona e Ginevra specializzandosi in clavicembalo e direzione di ensemble barocchi sotto la guida di Luca Guglielmi e Leonardo García Alarcón. Ha collaborato con orchestre internazionali quali la Berlin Sinfonietta e la Moravian Philharmonic Orchestra.
Fondatore dell’Íliber Ensemble e membro stabile del Continuum XXI, è regolarmente invitato in prestigiosi festival e teatri in Europa e Asia.
Affianca all’attività concertistica quella di docente e ricercatore.
In questa intervista in esclusiva per Barocco Europeo, ci racconta di sé e del suo legame con l’Italia.
Il suo percorso di formazione musicale l’ha portata dalla Spagna alla Svizzera e poi verso importanti collaborazioni internazionali. C’è stato un momento decisivo in cui ha capito che la direzione sarebbe diventata uno dei suoi linguaggi artistici?In effetti, ci sono stati due momenti chiave che hanno segnato in modo decisivo il mio rapporto con la direzione d’orchestra e il ruolo che avrebbe finito per assumere nel mio percorso professionale. Ricordo ancora con viva emozione la prima volta che ho visto un direttore lavorare con un’orchestra: avevo appena 9 o 10 anni e, insieme ai miei compagni di scuola, assistevo a un concerto didattico offerto dall’Orquesta Ciudad de Granada, nella mia città natale. Quel primo impatto ha piantato un seme che anni dopo, a 16 anni, avrebbe cominciato a germogliare. In quell’occasione, a Granada è stata organizzata una masterclass di direzione d’orchestra tenuta dal maestro Enrique García-Asensio. Quell’esperienza non solo mi ha permesso di accedere ai fondamenti teorici di questa disciplina, ma mi ha dato anche l’opportunità di trovarmi, per la prima volta, alla guida di un’orchestra. Da quel momento ho capito con assoluta chiarezza che la direzione musicale sarebbe diventata uno dei pilastri fondamentali della mia carriera d’interprete.
Il Coro del Friuli Venezia Giulia ha intrapreso il progetto ambizioso di eseguire l’integrale delle Cantate sacre di Johann Sebastian Bach. Come nasce e si sviluppa la sua collaborazione con l’ensemble?
Il mio rapporto con il Coro del Friuli Venezia Giulia ha iniziato a prendere forma nel 2022, in seguito alla mia nomina come direttore assistente dell’Orchestra Frau Musika, fondata nello stesso anno dal maestro Andrea Marcon. In quel periodo abbiamo collaborato alla preparazione di due opere fondamentali del repertorio sacro di Bach: la “Passione secondo Giovanni” e la “Messa in si minore”. Ho avuto allora l’opportunità di dirigere alcune prove, entrando così in contatto diretto con il coro. Già in quell’occasione, la sua flessibilità, il rigore e la qualità del suono mi hanno conquistato completamente, dando inizio a un legame artistico che continua ancora oggi.
Cosa significa per lei affrontare il corpus monumentale delle Cantate sacre di Bach?
Non posso che esprimere la mia ammirazione e congratularmi con il coro per questa iniziativa straordinaria. Ricordo bene che, durante una prova, lo stesso maestro Marcon affermò che si trattava del miglior coro in Italia per l’esecuzione della musica di Bach, quindi non dubito che sapranno portare a termine con successo un’impresa così ambiziosa. In questo senso, mi sento particolarmente fortunato a poter contribuire al raggiungimento di questo obiettivo con il nostro concerto del prossimo 24 agosto, che aprirà l’edizione 2025 del Femart.
La nostra collaborazione intorno all’opera di Bach proseguirà inoltre nel mese di ottobre, quando il coro debutterà in Spagna nell’ambito del Festival di Musica Sacra di Granada. In quell’occasione si unirà alla mia orchestra, Íliber Ensemble, per la prima assoluta di un nuovo progetto dedicato alle Sette Parole di Bach, sotto la mia direzione e con un’eccezionale rosa di solisti (Sophie Negoïta, Anthea Pichanik, Jakob Pilgram e Christian Wagner).
Lei ha studiato e suonato Bach da tastierista: come cambia la prospettiva quando si passa a dirigere un ensemble e un coro?
Studiare la musica per tastiera di Bach offre una comprensione profonda del suo linguaggio armonico e della struttura che lo sostiene. Permette di immergersi nel cuore del tessuto contrappuntistico e di osservare, dall’interno, come gli elementi retorici e simbolici contribuiscano a costruire la narrazione sonora. In un certo senso, è un’esperienza simile a quella di percorrere l’interno di una cattedrale: si percepisce l’architettura dalle fondamenta, si toccano con mano le colonne armoniche, gli archi melodici, la simmetria e l’equilibrio che danno forma all’insieme.
Dirigere un’orchestra e un coro, però, trasforma questa esperienza. Non si cammina più in solitudine nei corridoi dell’opera: si invita altri ad abitarla, a respirare al suo interno. La direzione richiede uno sguardo più ampio, una consapevolezza spaziale e collettiva. Comporta anche un atto di fiducia: si rinuncia al controllo diretto del suono per assumere il ruolo di guida, colui che propone una visione, ispira e facilita la convergenza di molte voci in un solo corpo sonoro.
Il suo percorso artistico è costellato da numerose collaborazioni con musicisti italiani, dal suo maestro Luca Guglielmi fino ad affiancare Andrea Marcon nella direzione dell’Orchestra Frau Musika di Vicenza e ora a dirigere il Coro del Friuli Venezia Giulia nel concerto di Femart. Come vede l’Italia dal punto di vista musicale e, più in generale, culturale?
Stiamo vivendo, purtroppo, un periodo particolarmente difficile per la cultura in Europa. La turbolenta situazione politica internazionale ha spostato l’interesse e le risorse di molti governi verso altre priorità, relegando gli investimenti culturali in secondo piano. Eppure l’Italia continua a essere un punto di riferimento indiscusso nel panorama artistico globale. Nonostante gli importanti tagli subiti negli ultimi anni dal bilancio del Ministero della Cultura, arrivano anche segnali incoraggianti, come la recente approvazione del Decreto Cultura che sembra introdurre, almeno in linea di principio, misure necessarie e positive per il settore.
C’è qualcosa di italiano che ama particolarmente?
Cosa amo in particolare dell’Italia? È una domanda difficile, perché si tratta di un paese che adoro e in cui mi sono sempre sentito come a casa. Ma se fossi costretto a scegliere un solo aspetto, forse, anche a rischio di cadere in un luogo comune, direi la gastronomia, per la quale nutro una predilezione speciale.