Il violinista e ricercatore nonché esperto tartiniano Tommaso Luison, racconta il suo percorso tra lo studio delle fonti originali e l’esecuzione, svelando come Giuseppe Tartini, oltre a grande violinista, fosse didatta e pioniere della musica europea. La sua eredità continua a influenzare interpreti e studiosi, testimoniando il valore universale del dialogo tra culture e generazioni.
Il suo percorso unisce pratica musicale e ricerca musicologica. Quando e come è nato il suo interesse per Giuseppe Tartini?
Il mio primo interesse per Giuseppe Tartini è nato grazie al mio Maestro Giovanni Guglielmo, con il quale mi sono diplomato in violino nel 2000. All’epoca Guglielmo, grandissimo interprete e studioso tartiniano, mi propose una sonata di Tartini per il programma di diploma e, attraverso quella prima esperienza, riuscì a trasmettermi una certa curiosità verso questo autore. Qualche anno dopo, nell’ambito dei miei studi universitari, decisi di laurearmi in Filologia musicale e scelsi di approfondire alcuni concerti di Tartini per la mia tesi.
Quella fu l’occasione per confrontarmi direttamente con le fonti settecentesche e per iniziare a unire i due percorsi, quello pratico e quello teorico, nel segno comune del compositore piranese.
Nella sua tesi di laurea e nel lavoro per l’Edizione Nazionale delle Opere di Tartini, pubblicata dall’editore tedesco Bärenreiter, ha avuto modo di approfondire direttamente le fonti. Qual è la scoperta o l’intuizione più significativa che ha tratto dalla sua ricerca?
Il contatto diretto e continuo con le fonti cartacee, in particolare con quelle conservate nella Biblioteca del Santo a Padova, ha cambiato il mio modo di leggere un testo musicale e mi ha insegnato che alcuni aspetti della musica si possono comprendere solo nel contatto fisico con le fonti. Mi sento piuttosto prudente nel parlare di “scoperte”, tuttavia posso dire di aver approfondito molto i concerti per violino con aggiunta di strumenti a fiato e di aver chiarito la natura “evolutiva” di queste opere. Quando Tartini le scriveva in autografo, quello era solo un primo passo verso le molte versioni che poi se ne sarebbero realizzate a Padova o in altre sedi europee.
Da interprete e da ricercatore, che cosa la affascina di più della musica di Tartini?
La bellezza dei suoi movimenti cantabili, l’unicità delle sue cosiddette “piccole sonate” per violino e il legame della sua musica con la parola, così ben espresso nella presenza di motti poetici che suggeriscono la metrica del testo musicale. E poi Tartini è un intellettuale con una personalità complessa e spigolosa, affascinante come la sua musica.
La “Scuola delle Nazioni” fondata da Tartini a Padova riuniva musicisti di tutta Europa, in un’epoca in cui gli scambi culturali erano lenti e difficili. In un mondo oggi così connesso, che cosa può insegnarci ancora quello spirito di dialogo e di confronto tra culture e scuole musicali?
La Scuola di Tartini è un magnifico esempio di didattica essenziale e universale, aperta sia ad amatori sia a grandi talenti e professionisti. In un periodo di due anni, tale era la durata del suo “corso”, Tartini riusciva a trasmettere a un pubblico globale ed eterogeneo il proprio messaggio, e tutti unanimemente riconoscevano in lui una guida illuminante. La diffusione del linguaggio tartiniano attraverso i suoi studenti in tutta Europa è la prova che le idee e le competenze, se trasmesse con passione e metodo, si diffondono rapidamente.
Se dovesse descrivere Tartini a un pubblico che lo conosce solo di nome o per la sonata Il trillo del diavolo, quale immagine sceglierebbe come prevalente: quella del virtuoso, del didatta o del pioniere?
L’immagine di Tartini violinista è sempre quella prevalente. Alle sue spalle metterei le tantissime opere ancora da scoprire e da suonare anche per il pubblico di oggi.