I volti di Femart: Alberto Fasoli

L’attore Alberto Fasoli, protagonista dell’evento Omaggio a Casanova in programma sabato 8 novembre a Villa Pace di Tapogliano, dove leggerà alcuni brani tratti dalle memorie dell’intellettuale veneziano, racconta, in questa intervista in esclusiva, dei suoi esordi con Giuseppe Emiliani, del legame profondo con il palcoscenico, che considera luogo di conoscenza e libertà.
Nel teatro trova ancora oggi la promessa mantenuta di una vita piena, fatta di ricerca, ascolto e continua scoperta di sé attraverso i personaggi.

 

Parlando di sé, fa riferimento a una citazione di Al Pacino: “Mi sento più vivo in teatro che in qualsiasi altro posto”. Cosa le ha promesso in gioventù il teatro, tanto da portarla a lasciare gli studi di Scienze politiche e dedicarsi completamente alla scena, che implica una forma altrettanto rigorosa di conoscenza?
Quando decisi che il mestiere dell’attore sarebbe diventato la mia professione, ero uno studente di Scienze politiche, un po’ confuso ma con un buon rendimento. Contemporaneamente frequentavo i primi laboratori di recitazione. A metà del corso di laurea mi resi conto che quello che realmente volevo fare nella vita era recitare. Così abbandonai l’università e iniziai presto a lavorare con la mia prima compagnia professionale, una cooperativa come tante realtà teatrali nei primi anni Ottanta.
Il lavoro in teatro, dal punto di vista economico, non era affatto remunerativo: guadagnavo pochissimo e mi ammazzavo di fatica davanti e dietro le quinte. Il teatro mi prometteva giornate senza orari, un impegno faticosissimo fatto non solo di studio e di applicazione intellettuale, ma anche di pura manovalanza sopra e sotto il palcoscenico. La gavetta che ho conosciuto in teatro mi ha insegnato l’umiltà, il rispetto per gli altri, l’importanza dell’ascolto, il concetto di “noi” piuttosto che di “io”. Ma la gioia che mi dava lo stare sulle tavole del palcoscenico, la soddisfazione di cercare di essere – non diventare – qualcun altro da me, è sempre stata una sensazione che non si può quantificare. Ancora oggi, dopo quasi quarant’anni, mi regala un profondo senso di pienezza interiore.

 

Queste promesse sono state mantenute?
La promessa principale che il teatro mi ha fatto ai miei esordi si rinnova ogni volta che salgo su un palcoscenico. Mi sento un privilegiato: amo a dismisura il mio mestiere e vado a lavorare con il sorriso. Ogni volta che interpreto un personaggio, anche alla centesima replica, scopro nuove sfumature, dettagli che ancora non erano emersi. È qualcosa di meraviglioso, che riempie la mente e l’anima. È l’essenza stessa del lavoro dell’attore: la consapevolezza che in questo mestiere non si smette mai di imparare.

 

Ha fatto la sua “gavetta” con il regista e drammaturgo Giuseppe Emiliani, con il quale è nato un lungo sodalizio artistico. Che ricordo ha di quei primi anni?
Giuseppe Emiliani per me è, prima di tutto, un amico. E poi un regista e drammaturgo eccellente, di grande sensibilità umana e artistica. Ai miei esordi mi fece comprendere l’importanza dello studio, dell’approfondimento, del bisogno di scavare, di andare a fondo nella materia del testo per costruire un personaggio. Un regista non è colui che muove i personaggi sulla scena, ma colui che, senza suggerirti le intonazioni, ti consegna la chiave per aprire lo scrigno del personaggio e guardare al suo interno.

 

Come si approccia a un nuovo personaggio? Segue un rituale o c’è un momento o un gesto che segna l’inizio del suo lavoro di preparazione?
Ogni personaggio è la scoperta di un territorio pieno di risorse. È una sorta di indagine, anche quando si affronta un ruolo già interpretato in passato. È un’isola del tesoro su cui si approda: bisogna saper cercare, non fermarsi alla superficie, non sottovalutare nessun indizio. E anche quando si è convinti di aver trovato la chiave giusta, è necessario continuare a cercare, provare altre chiavi che possano aprire nuove porte, nuovi cassetti nascosti, altre stanze inesplorate. Il momento della sintesi arriva, certo, ma solo dopo aver percorso tutte le strade possibili. Solo allora puoi davvero dare del “tu” al tuo personaggio.

 

Ha interpretato un personaggio con cui ha sentito un’affinità caratteriale, con cui si è sentito in sintonia?
Sono molti i personaggi che ho amato, quasi tutti, anche quelli più piccoli o apparentemente “di servizio”. Ne voglio citare un paio, più recenti. Hugh, l’amico fraterno di Katherine, protagonista del testo Apologia dell’inglese A. K. Campbell, interpretata magistralmente da Elisabetta Pozzi. Uno spettacolo di drammaturgia contemporanea, prodotto dal Centro Teatrale Bresciano nel 2019. Hugh sembra un personaggio secondario, ma in realtà è necessario a tutti: un punto di equilibrio, tenero e forte insieme, ironico e saggio. Ho aderito con tutto me stesso a quella figura.
Un altro personaggio che ricordo con particolare affetto è Pilade, l’amico fedele e leale alleato di Oreste in Ifigenia in Tauride di Goethe. Qualche anno fa recitavo al Teatro Olimpico di Vicenza; una sera venne ad assistere alla rappresentazione Jacques Lassalle, regista di fama internazionale ed ex direttore della Comédie-Française. Dopo lo spettacolo mi fece molti complimenti e mi propose di interpretare Pilade nel suo prossimo allestimento con il Teatro Stabile del Veneto. Quella notte non riuscii a dormire per l’emozione: ero stato scelto sul campo, aveva vinto la meritocrazia – una cosa, purtroppo, non così frequente.

 

Da veneziano, qual è la sua opinione su Giacomo Casanova? Lo considera un personaggio moderno, più vicino a noi di quanto si possa immaginare, oppure un uomo del suo tempo, forse anche un po’ mitizzato?
Casanova è un’icona del Settecento europeo e, per certi versi, un personaggio sorprendentemente moderno. Oggi sarebbe il perfetto rappresentante di una società in cui conta più “apparire” che “essere”. Spopolerebbe sui social, dividendo ammiratori e detrattori. Viaggiando per l’Europa e lavorando al servizio di avvocati e diplomatici, fu una sorta di ribelle, un freelance ante litteram, che frequentava le grandi corti europee accettando la protezione di potenti della politica e del clero. Non fu celebre in vita: il mito nacque solo dopo, con la pubblicazione postuma delle sue memorie.
Personalmente non lo amo, ma come personaggio da interpretare è ricchissimo di stimoli e suggestioni.